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Ehi, ti va di perdere?
PSICO PADEL

Ehi, ti va di perdere?

Il processo di miglioramento, anche di un singolo colpo, prevede un periodo di transizione dove è inevitabile vi sia un calo della prestazione di gioco. Per questo, prima di intraprenderlo, bisogna chiedersi: sono disposto a perdere qualche match per provare a diventare un giocatore più forte e completo? La risposta non è così banale…


Da buon newyorchese, Vince Lombardi non apprezzava le mezze misure. Il concetto era machiavellico, con il fine che giustifica i mezzi e l’obiettivo che resta quello di vincere il più possibile per il più lungo tempo possibile. Però c’è un momento in cui non si vince più, dove Sky is the limit diventa una frase fatta, bella da urlare in uno spogliatoio ma inutile ai fini pratici. Perché se è difficile individuare dei limiti quando sei un fuoriclasse, diventa molto più semplice quando il protagonista è un giocatore di club. Come il sottoscritto. E se siete anche voi giocatori del mio livello, è certo che avrete un tallone d’Achille nel vostro gioco, una debolezza talmente evidente da diventare bersaglio anche del meno acuto dei vostri avversari. Una condizione che può diventare di frustrazione perché la sensazione di impotenza è naturale, così come i rimedi appaiono impraticabili per una semplice ragione: giocare a padel non è il mio lavoro e trovare il tempo (senza considerare il talento, l’allenamento e la volontà) per migliorare un determinato colpo, è chiedere troppo.

Oppure no?

In linea generale, per migliorare bisogna porsi un quesito decisivo: «Quante partite sono disposto a perdere pur di migliorare?»

Nel mio caso, il problema è sempre stato il lob (ancora adesso mi rifiuto di chiamarlo globo, come amano dire in Spagna: per la traiettoria che deve assumere il colpo, trovo che sia un termine inappropriato). Ho un discreto background tennistico (sono stato un buon terza categoria, con punte di rendimento da 2.7 nelle giornate di grazia) ma, soprattutto in singolare, è uno sport dove il lob rimane una soluzione marginale. In un match, succede di doverne tirare quattro o cinque, a meno di non essere identificati come degli autentici pallettari (in questo caso, il termine spagnolo pasabolas, lo trovo particolarmente simpatico). Dunque, rispetto ad altri colpi come dritto, rovescio, volée o smash, la mia qualità tecnica pregressa non si è rivelata particolarmente utile. Anzi, abituato a giocarlo in top spin o usando tantissimo il polso e la sensibilità (anche delle corde) nelle situazioni più disperate, fatico ad applicare una tecnica corretta per il padel, nonostante il gesto sia apparentemente più semplice Conseguenze? Continuo a giocare lob solo discreti. Niente di realmente pessimo, nel senso che non lascio colpire comodi smash vincenti, ma nemmeno riesco a spingere gli avversari lontani da rete per favorire un contrattacco. Insomma, un lob appena decente, niente di più. In più, nei giorni peggiori comincio ad affidarmi troppo al gioco basso, cercando di infilare la palla in uno spazio che non c’è e irritando il mio compagno che, inconsapevole dei miei limiti, continua suggerirmi: «Dai, quando sono attaccati a rete, alza un lob!».

Come posso ovviare a questo mio problema?

Semplice: dovrebbe bastare prendere un buon maestro, rivedere l’analisi tecnica del colpo ed eseguirne centinaia al cesto contro avversari immaginari, con obiettivi prefissati ed esercizi ad hoc. Poi trasformare il maestro in avversario e, come gli piace dire in gergo, provare l’esercizio con palla viva, cioè simulando un vero e proprio scambio. Il tutto per arrivare al Gran Finale: tornare in campo per un match ufficiale (oh, valgono anche quelli Playtomic) e applicare quanto allenato durante le lezioni.

Facile, no? Per niente. Uno psicologo mi ha raccontato la storia del pacchetto dei ricordi che, oltre ai tanti meriti (esempio: quando ci svegliamo di soprassalto, riusciamo a riconoscere subito il luogo in cui ci troviamo perché il cervello è pronto a srotolare la mappa mentale della stanza), tende anche a riportarci alle condizioni che meglio conosciamo, a fissarci nella nostra comfort zone. Per questo cambiare una consuetudine è così difficile. Bisogna convincere il nostro cervello che si tratta di evoluzione, anche se al principio, i nostri valori conservativi ci spingeranno a fare quello che siamo abituati a fare. Anche se lo facciamo solo discretamente bene e non particolarmente bene. È una questione di memoria muscolare (allungare il braccio verso l’alto trenta centimetri in più del solito è banale solo a parole) e di atteggiamento mentale. Ho pienamente coscienza di quello che dovrei fare: provare ad applicare in partita ciò che ho affinato nelle lezioni e negli allenamenti. Però è una pratica che comporta un prezzo da pagare perché è molto probabile che i primi tentativi non raggiungeranno la sufficienza. Il primo finirà lunghissimo, quello successivo troppo corto, quello dopo ancora troppo basso. Con conseguenze facilmente immaginabili. questo discorso vale per il mio lob ma si allarga a qualsiasi colpo che un padelista esegue solo discretamente bene.

Perché qui sta la fregatura.

Cambiare una consuetudine è difficile. Bisogna convincere il nostro cervello che si tratta di evoluzione, anche se al principio, i nostri valori conservativi ci spingeranno a fare quello che siamo abituati a fare

Mi spiego: se il mio lob fosse davvero pessimo, è chiaro che non ci sarebbero dubbi nell’approcciare un qualsiasi cambiamento tecnico-tattico. Ma essendo almeno discreto, bisogna essere convinti di poterlo eseguire meglio. Perché spesso, la prima conseguenza di un cambiamento tecnico è quello di… giocare peggio di prima. Poi, man mano che il gesto diventa più sicuro, i benefici saranno scontati. Tuttavia, nel mezzo c’è un periodo complesso che mi fa domandare: quanti lob sono disposto a sbagliare prima di raggiungere uno standard più alto rispetto a dove sono partito? E, in linea generale, bisogna porsi il quesito decisivo:

«Quante partite sono disposto a perdere pur di migliorare?»

Sono pienamente cosciente che fior di giocatori nel corso della loro carriera hanno modificato un’impugnatura, un movimento, un atteggiamento tattico. Però il loro obiettivo era vincere i tornei del World Padel Tour e per questo erano disposti a certi sacrifici. Io, col padel voglio soprattutto divertirmi. Tuttavia, ho deciso di forzare la mano con me stesso e, tra i vari che conosco, ho chiamato il maestro che gode della mia piena fiducia, lo stesso che mi ha insegnato i primi rudimenti di questo sport (lo chiamerò Andrés per non far torto ad altri a cui mi sono rivolto). Il primo passo è stato stabilire un piano di lavoro e un format di lezione che ribaltasse completamente certi concetti: cinque minuti di riscaldamento, 55 di lob. Niente gioco al volo, niente vibora nell’angolo che mi fa libidine, niente che potesse appagare la mia autostima.

C’era da lavorare su un aspetto specifico ed essere pronto ad affrontare i primi insuccessi senza affondare. Pian Piano abbiamo cominciato a lavorare sulla spinta delle gambe e sul finale del movimento, per dare maggior spinta e traiettoria alla palla. Poi sul punto di impatto e sul braccio che deve distendersi dritto, anche se esteticamente non è bellissimo. E ancora, sugli aspetti tattici: quando giocare un lob alto o uno veloce, quando lungolinea e quando al centro, quando nel palleggio e in risposta.

«Un gran mal di testa».

Così mi è venuto da rispondere dopo la prima lezione. Cinquantacinque minuti di lob sono stati un’eternità e tutt’altro che divertenti. Siamo partiti dalle basi, con esercizi da simil-principiante che ricordavano quelle riabilitazioni post-infortunio dove si riparte dai movimenti più semplici. «È durissima» ho detto ad Andrés. «Ovviamente è dura» mi ha risposto mentre mi offriva un’altra palla da colpire. Poi ho cominciato a trovare regolarità e, quando Andrés mi ha chiesto di colpire dieci lob in sequenza ponendo la riga del servizio come limite minimo da superare, con mia grande sorpresa, otto sono finiti in target. Però non ero così ottimista, mi fossi trovato catapultato in una partita. Tutto sommato, sapevo già quale colpo dovevo eseguire, dove indirizzarlo e davanti non avevo un lungagnone pronto a tirarmi un por tres in faccia. E soprattutto Andrés mi offriva palle comode. Appena il ritmo è aumentato e lo scambio mischiato tra colpi a traiettoria bassa e lob, la percentuale di successo è crollata sotto il 50%.

Dunque, cosa mai sarebbe successo in partita?

Ho voluto sperimentarlo subito organizzando un match (qui è scattato l’altro dilemma perché nel mio percorso di miglioramento viene inevitabilmente coinvolto, consapevolmente o meno, anche il mio compagno. Per questo ho deciso che le prime volte l’avrei cambiato spesso, giusto per non sentirmi troppo in colpa e perdere un amico). I primi tentativi di lob sono stati altalenanti: uno corto, uno lungo, uno storto sulla parete laterale. In un amen il primo set è volato via, anche perchè ero talmente concentrato su quell’aspetto, che anche il resto del mio gioco ne ha risentito. Però mi era chiaro se, se volevo migliorare, dovevo essere disposto ad affrontare tutto ciò. E a perdere game, set e match. In breve tempo il gesto tecnico ha cominciato a diventare più sicuro, le scelte tattiche più consapevoli. Oddio, le ragioni delle miei iniziali resistenze persistono: ho cominciato a giocare a padel per sfogarmi dallo stress quotidiano, non per aggiungerne altro. Ma la vittoria nel secondo match mi ha dato la motivazione per continuare in questo progetto: giocare un lob sempre più efficace e poi spostare l’attenzione su altri aspetti per diventare un padelista sempre più completo, sempre più forte. Proseguendo convinto che i risultati più difficili da ottenere sono quelli che offrono le maggiori soddisfazioni.

Juan Lebron e Fisiocrem

Doppio colpo per Fisiocrem che ha firmato la coppia più forte del mondo: prima Juan Lebron, poi Ale Galan, a dimostrazione dell’impegno del brand nel mondo del padel. Fisiocrem, che fa parte del gruppo nutraceutico Uriach, è una linea di prodotti studiati per il benessere dello sportivo «Siamo entusiasti di avere come testimonial Juan Lebron – ha detto Roberto Cassanelli, Country Manager di Uriach Italia –. La nostra mission è supportare il benessere degli atleti e aiutarli a raggiungere la forma ideale prima di ogni allenamento e competizione». La partnership conferma lo stretto legame tra Fisiocrem e il padel con una linea di prodotti dedicata: Fisiocrem Solugel, Fisiocrem Spray Active Ice e Fisiocrem Massage, formulati per offrire benessere a muscoli e articolazioni particolarmente sollecitati durante l’attività sportiva. 


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