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Intervista esclusiva: Agustin Tapia, el Mozart de Catamarca
INTERVISTA

Intervista esclusiva: Agustin Tapia, el Mozart de Catamarca

Per molti addetti ai lavori è il più forte giocatore del mondo, certamente il più elettrizzante. Mister Highlights, lo chiamano, per la sua qualità di inventare nuove soluzioni. L’abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia di giovane emigrato dall’Argentina per cercare fortuna nel padel, «perché a calcio non ero abbastanza bravo!»


Lalo Alzueta, storico commentatore del World Padel Tour, gli ha affibbiato un nickname quantomai calzante: el Mozart de Catamarca. Un predestinato dal talento descomunal e un generatore automatico di soluzioni geniali: un attimo è Federer che pennella una chiquita, quello dopo Nadal che si arrampica per recuperare una palla impossibile. Il prototipo del giocatore perfetto, capace di essere efficace e brillante, elegante e vincente. Di lui dicono: «se Gesù Cristo decidesse di giocare a padel, vorrebbe farlo come lui». Agustin Tapia.

Chi è oggi Agustin Tapia?
Un giocatore di padel che sta vivendo il miglior momento della sua carriera. Un ragazzo molto felice, dentro e fuori dal campo.

Dentro e fuori dal campo, quanto ti senti diverso?Fuori sono un ragazzo molto, molto tranquillo, però quando entro in campo mi trasformo: è il desiderio di competere, la voglia di vincere e il rispetto per il mio compagno che merita di ricevere il mio 100%.

Il padel sta crescendo in tutto il mondo: ti piace cominciare a essere famoso?
Beh, intanto non sono Messi che non può camminare per strada! In ogni caso, sono contento che stia diventando famoso il padel, più del sottoscritto. Far parte di questo movimento è stimolante: sono partito che giocavamo nei club della provincia spagnola e ora mi ritrovo sul centrale di Roland-Garros o del Foro Italico: questo è importante, anche perché non sono il tipo che sogna di essere preso d’assalto dai fans.

Infatti tutti dicono che sei umile, sincero, carino, simpatico: hai anche qualche difetto?
No (ride). Certamente, tutti abbiamo dei difetti, però sono contento che la gente parli così di me, anche se conta soprattutto l’opinione di chi ti conosce davvero. Altri ti giudicano solo per quello che vedono da lontano. Comunque sono contento di come sono e spero di non cambiare.

Agustín Tapia è nato a San Fernando del Valle de Catamarca il 24 luglio 1999. In carriera ha vinto 21 titoli del World Padel Tour (tre con Belasteguin, due con Lima, sei con Sanyo e dieci con Coello) e quattro del Premier Padel (tutti quest’anno con Coello). Ha inoltre conquistato il titolo di Campione del Mondo con la sua Argentina nel 2022

«Da ragazzino mi sono trasferito a Rosario, una città pericolosa. Vivevo davanti al club e l’unica cosa che facevo era attraversare la strada per andare ad allenarmi. Però ero felice perché stavo inseguendo il mio sogno: diventare un giocatore professionista»

All’inizio della stagione, anche Gustavo Pratto, coach di Arturo Coello, aveva qualche dubbio sulle possibilità della vostra coppia: è stata una vera sorpresa?
Era impossibile prevedere quello che sarebbe successo. Tanti avevano dei dubbi, era logico: c’erano Lebron e Galan che stavano dominando il circuito, Stupa e Di Nenno che si conoscono da una vita e tutti gli occhi erano puntati su di noi. C’era curiosità nel capire cosa avremmo combinato insieme: fin lì avevamo sempre avuto compagni molto esperti al fianco, ma tutto è andato per il meglio. Sia chiaro, abbiamo lavorato duro, però entrambi avevamo fiducia fin dal principio di quello che potevamo realizzare insieme. Ma un conto è pensarlo, un altro metterlo in pratica.

Normalmente c’è un leader nella coppia: nel vostro caso?
Facciamo a turno! Onestamente non c’è un leader chiaro, ma uno c’è sempre per l’altro. Arturo è molto maturo per la sua età e sono certo di potermi appoggiare a lui nei momenti difficili e viceversa. Così funziona anche meglio.

Come è cambiato il tuo modo di giocare con Arturo?
Abbastanza perché sono passato da un giocatore di destra classico come Sanyo (Gutierrez n.d.r.) a un animale di un metro e 95 con un’esplosività pazzesca. Sembra possa coprire il campo da solo. In certi momenti è tutto facile perché possiamo colpire dei vincenti praticamente da qualsiasi zona del campo, però devo crescere ancora in fase difensiva che è sempre stato il mio punto debole, anche se credo di essere migliorato tanto quest’anno. E poi abbiamo il supporto di un team fantastico che ci aiuta a trovare le soluzioni tattiche giuste per il nostro tipo di gioco: questo ha favorito l’adattamento.

Arturo ci ha detto che è sottostimata la tua intelligenza tattica in campo (scherzando ha poi aggiunto: «O forse io sono molto stupido e lui mi pare tanto intelligente! »).
La gente è fissata con i colpi spettacolari ed è normale che sia così, ma dietro c’è una strategia ben studiata perché non tutti gli scambi possono essere highlights. Sto imparando a conoscere sempre meglio il gioco, per questo miglioro.

«Giocare con un animale come Coello rende tutto più facile. E il mio gioco non è fatto solo di highlights: dietro c’è una strategia ben studiata»

In un padel così rapido e potente, essere intelligente tatticamente è ancora una qualità fondamentale?
Beh, basta guardare Bela (Fernando Belasteguin n.d.r.) che a 44 anni è ancora competitivo ai massimi livelli. Gioca molto bene, è in buona forma fisica, ma soprattutto ha un’intelligenza unica che gli permette di lottare con ragazzi che hanno la metà dei suoi anni. È la dimostrazione che essere intelligenti, aiuta.

Il padel è uno sport di coppia ma, a tratti, quest’anno Agustin Tapia ha dimostrato di essere il miglior giocatore del mondo: hai questa sensazione?
Ho la sensazione di essere nel mio miglior momento, ma solo il ranking a fine anno dirà chi è stato il più forte perché è una stagione molto lunga e possono accadere tante cose. E comunque, alla fine la classifica premia una coppia, poi ognuno può avere la sua opinione sul singolo giocatore. Però mi chiedo: quel giocatore avrebbe reso allo stesso modo con un altro compagno? Ci sono aspetti che sono chiari, altri meno.

Sei un fuoriclasse del padel ma è vero che ti sarebbe piaciuto di più esserlo nel calcio?
È sempre stato il mio sogno. Da piccolo praticavo entrambi, poi ho deciso per il padel quando sono diventato campione del mondo junior, mentre nel calcio faticavo a trovare spazio nella squadra della mia città! Dovevo fare una scelta e direi che non ho sbagliato.

Che calciatore eri? Bela racconta di essere stato un difensore durissimo, tu immagino un fantasista alla Messi.
Giocavo un po’ dove mi mettevano, però sempre in attacco. La difesa non mi piaceva nemmeno a calcio.

Ti ricordi la tua prima volta su un campo da padel?
Con la mia famiglia, al Open Club di Catamarca. Io avevo otto, nove anni e non riuscivo a giocare con loro. Però eravamo tutti lì sul campo: mio padre, mio zio, mio nonno. Io mi mettevo dietro la parete e palleggiavo contro il muro, poi sono cresciuto e mi sono infilato in campo.

Come è stata la tua infanzia?
Molto bella: giocavo a calcio nelle strade del quartiere come tutti gli argentini. Poi, quando ho scoperto il padel, mi sono trasferito al club e ci passavo giornate intere. Un’infanzia normale, sana, ricca di sport.

«Quello che mi ha sorpreso di Agus è la sua intelligenza in campo. O forse io sono un po‘ stupido e lo vedo così! Tutti ammirano le sue giocate spettacolari, ma tatticamente è davvero super» Arturo Coello

Ti sei trasferito prima a Rosario e poi a Barcellona: quanto è stato difficile lasciare così giovane la tua famiglia?
Molto. Già viaggiavo parecchio, quindi ero abituato a stare lontano qualche giorno, ma trasferirsi è un’altra cosa. In più, da un paese tranquillo come Catamarca sono finito a Rosario, una città grande e pericolosa. Passare da un villaggio tranquillo a quella situazione non è stato facile. Vivevo in un appartamento davanti al club e l’unica cosa che facevo era attraversare la strada per allenarmi. Però ero felice perché stavo inseguendo il mio sogno: diventare un giocatore professionista.

Da Rosario a Barcellona: il sogno è diventato realtà.
Trasferirsi in Spagna era necessario per raggiungere l’obiettivo e, per fortuna, è un paese che ha tratti molto comuni con l’Argentina. Ambientarsi a Barcellona è stato semplice, anche perché il mio coach, Pablo Crosetti, mi ha aiutato tanto. E poi adesso ho convinto tutta la mia famiglia a seguirmi: mamma, papà e due sorelle: averli tutti con me è un supporto incredibile.

Sanyo mi ha detto: «Tapia si allena bene in campo, ma fatica a essere un professionista fuori: il cibo, il riposo, il fisioterapista…»: è davvero così?
Sono in un momento di trasformazione, sto migliorando anche sotto questo aspetto. Ora si tratta di applicare certi principi giorno per giorno. E aver condiviso tanto tempo con fuoriclasse come Sanyo e Bela mi ha insegnato parecchio.

«Una coppia condivide tanti momenti: gioie, delusioni, viaggi, confidenze. Non è sempre facile, serve la giusta alchimia. Immagino sia come un matrimonio!»

A padel si dice che la prima regola è trovarsi un buon compagno: tu, prima di Coello, hai avuto Marcelo Jardim, Juan Martin Diaz, Pablo Lima, Fernando Belasteguin, Sanyo Gutierrez. Cosa hai imparato da ciascuno di loro?
Bela è stato l’unico col quale ho avuto la possibilità di allenarmi insieme quotidianamente perché entrambi viviamo a Barcellona e così ho visto come si comporta un numero uno, l’intensità di ogni allenamento, la cura di ogni dettaglio. È stato un vero maestro. Con Jardim ho conosciuto la pista central del World Padel Tour, i primi partidazos, sono momenti che non si scordano. Però abbiamo giocato poco insieme perché mi sono infortunato, ma lui rimane una leggenda per me. Ho giocato pochissimo anche con Juan Martin ed è stato un peccato perché mi sarei goduto tanto l’esperienza. Avremo giocato un paio di tornei al 100%, però era un sogno stare al fianco di un talento che aveva già scritto la storia di questo sport. Io ho conosciuto il padel guardando tutti questi personaggi in tv.

Con Sanyo eravate la pareja fantasia.
Lui è un autentico genio, abbiamo un bellissimo rapporto. Mi ha insegnato come si gioca a padel tatticamente, come si deve pensare in campo.

Giocare con un mancino come Diaz prima e Coello adesso è davvero un bel vantaggio?
Sì, se riesci ad adattarti. Però Arturo non è solo mancino: è alto, salta, copre tanto spazio. Giocare con lui rende la vita più facile.

Negli Stati Uniti dicono che l’attacco vende i biglietti, ma la difesa fa vincere i campionati: è così anche nel padel?
Per giocare a questo livello devi saper fare tutto e tutto molto bene. Se hai troppe carenze, che siano in difesa o in attacco, di partite ne vinci poche. Però, in generale, sono d’accordo sul concetto di quella frase.

A livello psicologico, quanto può essere complesso uno sport di coppia? Per esempio se ti ritrovi un compagno che ti guarda male ogni volta che sbagli, come si riesce a portare avanti una rapporto professionale?
Immagino sia come un matrimonio, bisogna trovare i giusti compromessi. Una coppia condivide tanti momenti insieme: gioie, delusioni, viaggi, confidenze. Non è sempre facile, anche se con Arturo è stato tutto molto spontaneo. Abbiamo trovato la giusta alchimia fin dall’inizio. E le vittorie hanno aiutato.

Si può avere successo in campo senza avere un buon rapporto fuori?
Ci sono stati dei casi, quindi può funzionare. Alla fine è un lavoro dove tutti vogliono vincere, quindi l’aspetto principale sono i risultati. Se arrivano, si può giocare insieme senza essere amici. Però un buon rapporto ti fa vivere meglio.

Cosa pensi del nuovo circuito 2024? Finalmente ci sarà un solo tour e un solo ranking.
Credo sia una splendida novità. Avere due circuiti separati è stata una complicazione e in questi due anni di transizione non sono mancati i periodi difficili, con un calendario che obbligava a giocare troppo. C’era poca chiarezza ma ora si vede la luce in fondo al tunnel e ci aspetta un periodo molto stimolante.

«Il padel è la mia vita, il lavoro che mi fa mangiare. Ci dedico tantissime ore, anche se il vero fanatico è mio padre che guarda qualsiasi partita in tv»

Però come hai reagito alla notizia che i dieci tornei vinti quest’anno nel World Padel Tour non conteranno per il ranking 2024 (una regola discutibile terrà conto per il ranking della prossima stagione di tutti i tornei Premier delle ultime due stagioni e di sole tre prove del WPT a partire da settembre n.d.r.)?
Trovare una soluzione che piacesse a tutti era impossibile, qualcuno ne ha beneficiato e purtroppo tra quelli non ci siamo noi. Mi sembra un po’ assurdo tener conto dei risultati delle ultime due stagioni perché penalizza troppi i più giovani. Alcuni di loro ancora giocavano i tornei junior! È una regola che li penalizza troppo, mentre ha allungato la carriera di altri, e questo è un bene. Io e Arturo abbiamo vinto dieci tornei WPT che non conteranno per il ranking 2024 ma quei successi contano eccome perché ci hanno regalato grande fiducia e dimostrato che possiamo fare molto bene insieme.

(Sul televisore al nostro fianco, scorrono le immagini di un match di Juan Martin Diaz). Com’è giocare un circuito che sta aumentando i montepremi costantemente e pensare a fuoriclasse come JMD che in carriera ha guadagnato quanto voi in una stagione?
Fa parte del gioco e della crescita di questo sport. Basta vedere dove si gioca ora rispetto anche solo a dieci anni fa. Dobbiamo ringraziare certi giocatori perché senza di loro non saremmo qui. Dovrebbero ricevere una parte del prize money a vita!

Quanto è importante per te il denaro?
Lo dico con estrema sincerità: a me basta sapere che io e la mia famiglia abbiamo quanto serve per stare bene e fare ciò che ci piace. Mi è sufficiente per essere felice. Non mi interessa avere una barca, un aereo privato o roba di questo genere.

Una cosa che non ti piace del padel?
Mmh… non saprei… forse fare le interviste con i giornalisti! Ma è colpa mia: sono timido, riservato.

E come gestisci una popolarità che è destinata a crescere?
Migliorando l’approccio. Da ragazzino ero ancora più timido, ora mi sono abituato alle interviste, alla gente che ti chiede una foto. Piano piano…

Cos’è il padel per te?
La mia vita. E il lavoro che mi fa mangiare. Ci dedico tantissime ore, anche se il vero fanatico è mio padre che guarda qualsiasi partita o programma che danno in tv. Quando abbiamo perso negli ottavi di finale in Finlandia, nel week-end ero a casa e volevo solo giocare alla Play. Però lui stava tutto il giorno incollato al padel in tv e alla fine mi mettevo a guardarlo con lui.

Come sta vivendo la tua carriera?
Spero sia orgoglioso di me. I miei risultati sono il frutto del lavoro di tutta la famiglia, dei sacrifici che hanno fatto, del sostegno che mi hanno dato. Il mio successo è anche merito loro e spero che mi accompagnino sempre.

Un grosso aiuto è arrivato anche da parte di Nox, qualcosa in più di un semplice sponsor.
Mi ha dato l’opportunità di trasferirmi in Spagna e ha reso più semplice l’ingresso nel tour. In Argentina giocavo con Sane, ora da sei anni sono con Nox e il rapporto è molto bello.

La tua pala sembra una seconda mano…
Mi piace la sua forma e il bilanciamento non troppo spostato verso la testa perché mi aiuta in fase difensiva. Poi il piatto è molto ruvido per dare più rotazione e la gomma è meravigliosa.

Sei un fanatico di attrezzatura, uno che controlla ogni dettaglio della sua pala?
Faccio attenzione ma senza eccessi. Quando sono passato a Nox ho scelto la pala di Miguel Lamperti, la ML10: pesava 377 grammi. Poi hanno deciso di produrre un modello specifico per me, ma se la pala cambia un pochino, non faccio problemi, mi adatto rapidamente. In un anno ne uso una quindicina. Mi piace che la pala che si trova nei negozi sia esattamente uguale alla mia, tranne che per il peso: non credo che sarebbe utile per i giocatori di club usare una racchetta da 377 grammi!


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