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INTERVISTA

Il Presidente Carraro: «Quest’anno ci saranno dieci tappe Premier Padel, compresi i Mondiali. E col World Padel Tour è cambiato tutto quando…»

Abbiamo incontrato Luigi Carraro, Presidente della Federazione Internazionale Padel, e parlato della crescita del nostro sport, del Premier Padel attuale e futuro, della querelle col World Padel Tour, di Olimpiadi e di un possibile nuovo grande evento in Italia quest’anno…

da Madrid, Lorenzo Cazzaniga

19 agosto 2022


Juan Lebron, il numero uno del mondo, attende con pazienza di poter cominciare il suo warm-up mattutino, in vista della finale del torneo Premier Padel di Madrid. Con cura maniacale, si spalma una pomata su un piede dolente, poi taglia una strisciolina di garza e pone grande attenzione nel fasciarla come si deve. Alza gli occhi e tira un sorriso, osservando chi sta giocando su campo centrale del WiZink Centre che, poche ore dopo, sarebbe stato preso d’assalto da oltre ottomila fans. Impegnato tra una bandeja e una vibora, Luigi Carraro, 45 anni, dal 2018 Presidente della Federazione Internazionale Padel, ereditata con una pioggia di debiti e trasformata in un’efficiente macchina organizzativa, per quanto la crescita del padel a livello internazionale sia così violenta da non consentire pause, con l’esigenza di creare una struttura sempre più capillare per far fronte ai vari impegni. Compresi quelli legati al Premier Padel, fiore all’occhiello della gestione Carraro che ha creato un modello di business che non è azzardato definire geniale. E con prospettive future che fanno (molto) ben sperare. E che ha cominciato, tempus fugit, a illustrarci in questa chiacchierata, che dovrà inevitabilmente essere aggiornata visto che a breve si attendono ulteriori annunci.

Novembre 2021: avrebbe mai immaginato nove mesi dopo di festeggiare un nuovo circuito con eventi al Foro Italico, sul Philippe Chatrier di Roland Garros, nella capitale del Padel, Madrid e, in quattro tappe, di avvicinare i 150.000 spettatori?
La nostra prima intervista risale ai Campionati Europei nell’ottobre 2019 al Bola Club di Roma. Ecco, si ricordi bene;: eravamo in una situazione talmente tragica che, non fossimo riusciti a mettere insieme quell’evento, oggi forse la federazione Internazionale Padel nemmeno esisterebbe più. Hanno provato a creare una Federazione europea e un campionato in aperto contrasto, quindi vedere dove siamo arrivati oggi è motivo di soddisfazione, di orgoglio ma soprattutto di stimolo per fare sempre meglio. Abbiamo raggiunto traguardi storici, ma dopo ogni evento spostiamo l’asticella sempre più in alto.

Cosa non la soddisfa?
Sono un perfezionista al quale piace curare in maniera maniacale ogni dettaglio. Ogni evento viene analizzato per capire cosa poter fare meglio: dalla cura dei tifosi a quella dei giocatori, dalla scenografia dello spettacolo ai media, dal branding alla transportation, ogni aspetto deve avvicinare la perfezione. Abbiamo cominciato da poco, quindi di lavoro ne abbiamo molto, ma i presupporti sono incoraggianti.

Quanto è necessario che la FIP si strutturi sempre meglio: una sede ufficiale, personale specifico…
Nel 2018 la FIP aveva 80.000 euro di debiti e nessuno che ci lavorasse. Ora abbiamo circa 15 persone, un ufficio a Roma, una sede in Svizzera, a breve un’altra molto importante a Madrid: siamo cresciuti, ci stiamo strutturando e adesso, a fine mese, quando la responsabile amministrativa ci porta il conto degli stipendi mi rendo conto che siamo diventati grandi. Poi è chiaro che il padel sta avendo uno sviluppo straordinario e quindi dobbiamo crescere di più.

«La FIP è titolare del circuito Premier, gestisce la parte sportiva e ha una quota dello sviluppo commerciale senza dover investire ma ottenendo il beneficio economico. Insomma, direi che non si è trattata di una cattiva operazione»

Come deve concretizzarsi questo sviluppo?
Bisogna fare attenzione perché se non c’è una Federazione, sia a livello internazionale sia nei singoli paesi, che cura l’attività, dalla base al professionismo, torna il rischio che questo sport diventi una moda passeggera. Abbiamo degli esempi, cito il caso della Svezia, dove il padel è cresciuto tantissimo e ora si sta vivendo un piccolo momento di crisi. Un paese dove il padel ha fatto boom e ora mi dicono che qualche club comincia a chiudere. Quello è il chiaro esempio che mostra come sia necessario che vi sia una Federazione che coordini tutta l’attività: formare arbitri, dirigenti e istruttori, organizzare tornei per ogni categoria, regionali e provinciali. Insomma, tutta roba che può fare solo una Federazione.

E in Italia come siamo messi?
Ogni giorno meglio. Fino a qualche anno fa dovevamo sgomitare all’interno del consiglio federale per parlare di padel, oggi il nostro sport riceve la stessa attenzione del tennis e a breve la FIT cambierà nome aggiungendo il padel e credo che per tutti gli appassionati sarà un grande riconoscimento. Una scelta che soddisfa anche la Federazione Internazionale perché è corretto che ogni paese sviluppi la sua autonomia e che la federazione padel possa far parte di quella del tennis o dello squash, però con la giusta dignità e indipendenza. In Italia il padel ha raggiunto uno status importante sotto tutti i punti di vista, anche economico, così come in altri paesi. L’importante è che venga riconosciuto il ruolo della federazione Internazionale e che si lavori per far crescere lo sport. Tutto si può dire tranne che in Italia il padel non sia cresciuto. 

Querelle col World Padel Tour: quale potrà essere l’epilogo?
La nostra situazione con il World Padel Tour è molto trasparente. Si trattava del player più importante sul mercato e avevamo raggiunto un accordo per unificare i ranking. Poi ci siamo resi conto che con il nostro circuito, il CUPRA FIP Tour partito nel 2019 ed esploso nel 2021, stavamo globalizzando questo sport, abbiamo chiamato il World Padel Tour dicendo che il padel stava vivendo una crescita importante e che dovevamo essere bravi ad anticipare i tempi e che il nostro rapporto doveva subire un’evoluzione. Di cosa si trattava? Abbiamo spiegato la nostra idea che prevedeva un ranking e un calendario gestito dalla Federazione Internazionale, così come la parte regolamentare. Noi avremmo continuato a organizzare il circuito CUPRA FIP Tour e il World Padel Tour i loro venti tornei annuali, ai quali avremmo aggiunto cinque tornei Major gestiti da noi e dalle federazioni nazionali dei paesi organizzatori. Credevo fosse un progetto equo ed equilibrato e mi sembrava doveroso proporlo prima ai dirigenti del World Padel Tour perché erano il player più importante.

«Dal 2024 i Major diventeranno cinque. E quest’anno arriveremo a dieci tappe del Premier Padel, considerando anche i Mondiali in Qatar»

Quale è stata la risposta?
In un primo incontro nei nostri uffici di Roma, nel luglio dell’anno scorso, le parti erano molto distanti. Successivamente ci hanno scritto una mail in cui dicevano di essersi resi conto di avere mostrato un atteggiamento troppo rigido. Ci siamo rivisti a settembre e sembrava che ci fosse stato un avvicinamento e in una video call la settimana successiva ci siamo accordati affinché ognuno presentasse un documento per concretizzare l’accordo.

Cosa ha fatto naufragare le buone intenzioni?
Il lunedì successivo ho scoperto che il World Padel Tour, senza rispettare l’accordo che stavamo trattando, contattò una nostra federazione nazionale per dicendo che questi Major potevano farli direttamente con loro, senza coinvolgere la FIP.

Di quale federazione si trattava?
Non serve ricordarlo, ma comunque non era quella italiana, sarebbe stato troppo facile. Io tenevo sempre informate tutte le nostre federazioni su come stavamo procedendo e quindi mi informarono immediatamente. Fu un colpo basso. Scrissi una mail ai dirigenti del World Padel Tour per raccontare l’accaduto: l’ho inviata il 27 settembre 2021, sto ancora aspettando una risposta. Io avevo proposto al World Padel Tour di organizzare un unico circuito…

Invece è nato il circuito Premier Padel: crede che il tour professionistico di tennis possa essere un riferimento, con quattro Slam che fanno capo alle singole federazioni e a un comitato specifico e poi una serie di oltre 60 tappe gestite da quella che è nata come Associazione Giocatori?
Credo che siamo riusciti a fare meglio perché l’ATP è composta da giocatori e organizzatori però manca completamente la Federazione Internazionale. Noi invece siamo riusciti a creare un progetto che coinvolge tutti i principali player del mondo padel: la FIP, l’Associazione Giocatori che è fortemente coinvolta e un partner commerciale che è essenziale e senza il quale non sarebbe stato possibile far partire il circuito. Si tratta del miglior partner commerciale che avremmo mai potuto incontrare non solo perché ha una straordinaria forza finanziaria ma anche un grande senso delle istituzioni. Il Fondo è quello sovrano del Qatar (Qatar Investment Authority n.d.r.) e l’emiro è un uomo delle istituzioni, membro del CIO, suo fratello è Presidente del Comitato Olimpico del Qatar, Nasser Al-Khelaifi, presidente di Qatar Sports Investments (un fondo che è emanazione di quello sovrano del Qatar e che è il partner commerciale di Premier Padel n.d.r.) è Presidente dell’ECA e membro del board esecutivo della UEFA. Stiamo dunque parlando di persone che hanno un profondo rispetto delle istituzioni tanto che quando ho illustrato la mia idea, nel novembre 2021, la prima cosa che mi hanno detto è che al centro del progetto sarebbe dovuta rimanere la Federazione Internazionale. Così è stato fin dal primo giorno e così sarà sempre, è questo il segreto del successo.

I giocatori hanno subito sposato l’idea?
Assolutamente, anche perché sono stati subito coinvolti, dalle decisioni più piccol e a quelle più importanti. Parliamoci chiaro: senza di me, trovano un altro presidente, ma senza i giocatori uno sport non esiste. E in ogni nostro evento, si respira la gioia dei giocatori di essere presenti. Nell’era dei social media, si percepisce immediatamente la soddisfazione dei protagonisti, che restano i giocatori.

Quanto la FIP e il circuito Premier Padel è dipendente finanziariamente dal fondo qatariota? E quanto può essere rischioso affidarsi a un solo partner, per quanto finanziariamente molto generoso?
Prima di tutto, Qatar Sports Investments ha degli impegni con la Federazione Internazionale e comunque abbiamo costituito una società per lo sviluppo commerciale del circuito di cui la FIP è socia. Quindi, ricapitolando: la FIP è titolare del circuito Premier, gestisce la parte sportiva e ha una quota dello sviluppo commerciale senza dover investire ma ottenendo il beneficio economico. Insomma, direi che non si è trattata di una cattiva operazione.

Ma siete disposti ad accogliere altri investitori? Se un imprenditore belga, italiano, svedese, francese, volesse paganizzare una tappa del Premier Padel, sarà offerta questa possibilità?
Serve fare un distinguo: nella sua idea, Qatar Sports Investments non sarà mai proprietario di nessun torneo, quindi le porte sono aperte a qualsiasi investitore. Se viene Mario Rossi da Bergamo e rispetta tutti i requisiti necessari, potrà tranquillamente proporsi per organizzare un evento Premier Padel. Deve però essere chiaro che daremo sempre priorità alle federazioni nazionali, come fin qui avvenuto con Italia, Francia, Argentina, Qatar. E, in ogni caso, anche qualora una federazione non volesse essere coinvolta per qualsivoglia ragione, riceverà comunque una fee dagli organizzatori. Per esempio, nel Premier Padel di Madrid la federazione spagnola non ha voluto essere coinvolta ma co unque entro trenta giorni riceverà una fee in quanto il torneo si è svolto nel suo territorio. È stata una mia battaglia.

«C’è l’ipotesi di un torneo Premier in Italia prima della fine dall’anno ma ci sono tante altre richieste. Stiamo valutando con i giocatori le varie possibilità, tenendo conto di un calendario piuttosto fitto»

I Major saranno sempre i quattro disputati quest’anno?
Sicuramente per i primi tre anni e mi auguro per tutta la vita. Però l’idea dal 2024 è di farli diventare cinque, per essere diversi da altri sport e perché il mondo del padel lo richiede.

Realisticamente quale potrebbe essere la prima Olimpiade in cui il padel sarà presente?
Fino all’ultimo giorno disponibile lotteremo per essere a Los Angeles 2028. Il nostro sport sta riscuotendo un notevole successo ma per diventare sport olimpico bisogna parlare poco, lavorare sodo e produrre fatti. Siamo parte dei Giochi Europei del prossimo anno, di quelli Sudamericani del prossimo ottobre e degli Asian Games: ci stiamo avvicinando sempre più a essere sport olimpico.

Si guadagna tanto a organizzare un torneo Premier Padel?
Chi si prende questo impegno credo faccia un budget a tre anni. Probabilmente il primo anno finisci pari oppure rimetti o guadagni qualcosa, ma sicuramente in un budget triennale si può guadagnare bene.

Anche chi organizzerà il Premier Padel a Milano a dicembre?
Lei forse ha più informazioni di me! Battute a parte, nelle prossime settimane annunceremo altri eventi. Non le nascondo che c’è l’ipotesi di un torneo in Italia ma ci sono tante altre richieste. Stiamo valutando con i giocatori le varie possibilità, tenendo conto anche di un calendario piuttosto fitto. 

Quanti tornei Premier pensa di poter aggiungere da qui alla fine della stagione?
Penso che arriveremo a dieci tappe, compresi i Mondiali (in Qatar, dal 31 ottobre al 5 novembre n.d.r.) per i quali a breve annunceremo anche una novità importante.

Dunque, dopo le tappe Premier Padel già disputate a Doha, Roma, Parigi, Madrid e Mendoza, quella prevista a Monterrey (28 novembre al 4 dicembre) e i già citati Mondiali in Qatar, dovrebbero essere previste altri tre tornei Premier. I rumors parlano insistentemente di una tappa italiana: prima Torino sembrava in pole position, ora appare più probabile l’Allianz Cloud di Milano, dal 5 all’11 dicembre, una settimana da incastrare tra il Major messicano del Premier Padel e il Master Final del World Padel Tour, che comunque parte il 15 dicembre. A breve dovrebbero arrivare gli annunci delle nuove tappe Premier e la sensazione è che l’Italia sarà nuovamente protagonista.

Lo sapevi che…

Sulla questione olimpica, va ricordato che le federazioni hanno tempo fino a fine agosto 2022 per presentare le RFI (Request for information) al CIO che prenderà le sue decisioni nella sessione che si svolgerà a Mumbai (India) a metà del 2023. Tuttavia, secondo diversi media, sarebbero già stati individuati i nove sport inseriti nella shortlist per le Olimpiadi di Los Angeles 2028: motorsport (probabilmente karting), cricket, breakdance, baseball e softball, flag football, lacrosse, karate, kickboxing e squash. Non c’è dunque traccia del padel che quindi dovrebbe puntare come prima opportunità olimpica a Brisbane 2032.

A tal proposito, un media spagnolo, The Objective, ha scritto un articolo molto duro nei confronti del Presidente Carraro alludendo al fatto che l’ottenimento del pass olimpico è stata la sua principale promessa elettorale. Pare ovvio per un Presidente di federazione internazionale avere tra i principali desideri l’ingresso alle Olimpiadi ma va riconosciuto che Carraro ha sempre parlato di massimo sforzo possibile (l’ha ribadito anche in questa intervista) pur riconoscendo che la strada non è avara di ostacoli. Dopotutto, fino a pochi anni fa, il padel era uno sport praticato in pochissime nazioni, mentre ora rappresenta lo sport con la maggior crescita a livello internazionale. Il tutto, da quando alla guida della FIP è arrivato Luigi Carraro che avrà certamente infastidito qualcuno ma può far parlare i fatti: ha ereditato una federazione indebitata, ora quella stessa federazione è titolare di un circuito internazionale che discipline con tradizioni ben maggiori possono solo immaginare. Il tutto, in un periodo molto limitato di tempo e con tutte le difficoltà socio-economiche create dalla pandemia e dalla crisi ucraina. Limitare il giudizio sull’operato del presidente Carraro alla presenza del padel ai Giochi Olimpici di Los Angeles 2028 è alquanto riduttivo e perfino pretestuoso. L’obiettivo è chiaro, sostanziale e prioritario ma non c’è evidenza che siano stati commessi degli errori in tal senso.

Anzi, l’introduzione nei vari Giochi Europei, asiatici e Sudamericani, sono un viatico di speranza, ma è inevitabile che serva tempo per raggiungere lo scopo ultimo. Se poi si arrivasse al traguardo olimpico già disponendo di un circuito professionistico unificato e ben collaudato, finanziariamente autonomo e con un’evoluzione tecnico-organizzativa in tanti paesi, l’ingresso olimpico sarebbe una ciliegina sulla torta ancora più dolce. Ma serve tempo, lavoro e unità d’intenti. Le critiche sono opportune e utili, le opposizioni a priori, un ulteriore ostacolo di cui francamente non si avverte la necessità.