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Padel vs. Tennis: My Experience

Un fanatico tennista ha scoperto il padel un paio d’anni fa, pensando fosse un banale succedaneo del tennis. Dopo i primi match, ha cambiato idea, rimanendone affascinato e cominciando a frequentarlo sempre più assiduamente. Perché il padel, come diceva Chuck Berry del rock and roll, it’s here to stay!

di Corrado Erba

1 maggio 2021


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Confesso di aver inizialmente snobbato il padel. Per me, un noto flaneur tennistico, amante dei gesti bianchi e dei campi rosso sangue, il padel era un succedaneo banale. In effetti, l’impressione fu confermata dalle uscite di esordio. Trascinato dal Direktor in un remoto club dell’hinterland, trovammo a stento il capannone nascosto nella nebbia. Giocavo con altri tennisti esordienti e mi sembrò tutto elementare: un servizietto da sotto, due volate ed era finita li. Al termine dell’ora (e mezza), fresco come una rosa, pensavo fosse un gioco per Fantozzi della racchetta, per chi a tennis non la prendeva proprio e poteva andare a farsi due tiri di palle sgonfie.

Poi, qualche mese dopo, capita che due Fantozzi sfidino me e l’amico Gardella a padel. Uno piccolo, pelatino, le gambe storte, una magrezza nervosa che rimandava Mick Jagger; l’altro un signore pingue, bianchissimo, sulla sessantina, di origine spagnola. «Buttiamo via un’oretta e facciamoli contenti» dissi al Gardella, impegnato a mulinare rovesci sul campo centrale. Servizietto, volée, smash e finiamo il punto in fretta. Ma c’era un problema: la palla tornava sempre indietro. Il duo di diabolici Fantozzi si appostava in mezzo al campo, sfruttava il rimbalzo sulle pareti e rimandava incessantemente. E noi a sempre a schiacciare inutilmente:
una,
due,
tre volte.
Out.
Passati quarantacinque minuti, matido come non mai, andai a stringere la mano sotto uno-sei, due-sei e ingoiai anche il rospo del sessantenne che buttò li: «Amigos, che ne dite se mischiamo le coppie?».

«Vedi cabron, il padel è un gioco tecnicamente povero ma tatticamente infinito. Non ti serve essere Adriano Panatta». Pensavo fosse un gioco per chi non la prendeva a tennis, invece….

Deciso ad approfondire, presi qualche lezione dal mitico Hugo Sconochini, felicemente transfuga dal basket professionistico. «Vedi cabron– mi disse dopo che avevo giocato un inutile drop shot -, il padel è un gioco tecnicamente povero ma tatticamente infinito. Non ti serve essere Adriano Panatta». Adriano che, per inciso, l’estate scorsa trovai proprio su un campo da padel a ricamare come ai bei tempi. Iniziato da cotanto maestro, Hugo intendo, e forzato dal Direktor che ne è diventato fanatico, non ho potuto esimermi dalla frequentazione assidua del padel. Beh, non vedevo un boom sportivo di questa guisa dalla fine degli anni ottanta in cui, bambino, andavo a prenotare alle sette del mattino per trovare un campo da tennis. I tempi sono cambiati, ora basta un click, ma serve comunque mettere la sveglia, perché se non prenoti a mezzanotte e un minuto del giorno indicato, l’unico campo che trovi è a Livigno, all’aperto, il nove di dicembre.

Il bello, e la fortuna, del padel è che si tratta di uno sport molto democratico, dove all’ingresso non ci sono troppe barriere tecniche o fisiche, come accade in altri sport. Per giocare a calcetto serve avere tutti i menischi a posto, per il golf una certa disponibilità di tempo e denaro, ma soprattutto per il tennis serve pazienza, sacrificio e una qualche attitudine prima di divertirsi. Il dritto sghembo, la ramata di rovescio, lo schiaccione definitivo, a padel sono ampiamente tollerati, perfino incoraggiati. E l’umanità del padel è anche molto più varia e divertente: il rasta pallido che fa coppia col notaio abbronzatissimo, la vecchia gloria del pallone che sgambetta con l’amico tassista, la nota attrice che gioca con la sua estetista. È pur vero che alcuni luoghi di padel sono improbabili e meno affascinanti di un bel tennis club. Personalmente gioco nella mondana località di Tribiano, in un ex capannone industriale adibito a officina meccanica e felicemente trasformato; tuttavia, rende una certa felicità il suono secco e attutito della palla che una, dieci, cento volte produce lo schiocco del proiettile sparato da una magnum 45, moltiplicato per ics campi e centinaia di padelisti.

 L’ex tennista tende a ricamare inutili drop shot, a colpire al volo palle che andrebbero felicemente fatte passare. Spesso vestiti di bianco, sporchiamo l’erba sintetica di terra rossa e ci mettiamo invano con il viso rivolto a un sole che non c’è, cercando di catturare i raggi del neon. Il padelista vero, invece, bada al sodo

Ecco, la categoria dei padelisti è divisa in due: il tennista transfuga e il vero padelista, folgorato dal gioco, spesso dopo anni di multi-attività (calcetto, palestra, triathlon, scalate in bicicletta) o nessuna attività. L’ex tennista tende a essere stiloso, a ricamare inutili drop shot (vedi sopra, cabron), a colpire al volo palle che andrebbero felicemente fatte passare. Spesso vestiti di bianco, sporchiamo l’erba sintetica di terra rossa e ci mettiamo invano con il viso rivolto a un sole che non c’è, cercando di catturare i raggi del neon. Il padelista vero, invece, bada al sodo. Umile nell’alzare alti pallonetti, forse non terrà la racchetta (la pala, pardon), come Roger Federer, ma la palla la rimanderà sempre, forte di un occhio da falco su tutte le possibili traiettorie, anche se magari è fasciato nell’ultimo outfit della maratona di New York, sotto il quale mostra cosce possenti e uno scatto felino 

Non ho ancora abbastanza esperienza di padel vissuto per raccontare tutti i meccanismi del mercato. Tuttavia, sono poco propenso ad ascoltare le cassandre che affermano che sarà solo una moda e finirà per sgonfiarsi come lo squash. Penso invece sia un gioco che conquisti: facile, appassionante, atletico e gender fluid, perché amatissimo da uomini e donne.

Le mode possono essere girare in Harley Davidson, andare in vacanza a Goa, comprare Best Company. Invece il padel, come diceva Chuck Berry del vecchio rock and roll, it’s here to stay.