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The Player: Denny Cattaneo
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The Player: Denny Cattaneo

Ha cominciato con il basket in Repubblica Ceca, ha continuato col tennis in Italia, ha scoperto il padel in Spagna. Insieme a Simone Cremona ha vinto tutto ciò che era possibile a livello nazionale: ora la coppia è… scoppiata e Denny è pronto a una nuova avventura. Con un sogno chiamato World Padel Tour.
intervista di LORENZO CAZZANIGA
9 dicembre 2019

Denny Cattaneo ne ha già vissute parecchie: ha perso il padre da ragazzino, è cresciuto in Repubblica Ceca con la madre e il fratello maggiore, ha provato a sfondare nel tennis, ha cercato una nuova strada in Cina. Poi la madre ha deciso di vendere la casa in Liguria dove andavano a svernare d’estate e, per sua fortuna, ha scelto una piccola cittadina nel sud della Spagna, Mojacar, vicino ad Almeria. È lì che ha conosciuto il padel ed è stato amore a prima vista. In pochi anni ha vinto ttto ciò che era possibile nei confini nazionali, insieme al fido compagno Simone Cremona. Quest’anno, il rapporto si è incrinato, la coppia si è sciolta e lui adesso punta a vivere un’esperienza tutta nuova, fuori dall’Italia, a caccia dei suoi limiti. In questa chiacchierata ci ha raccontato dei suoi inizi, del lavoro svolto con i coach spagnoli, delle tante vittorie e di alcune delusioni, a partire dalla fine del rapporto con Cremona. E di come finirebbero dei match contro Bela e Tapia, Marreo e Ortega, Fognini e Berrettini…

Come tanti altri padelisti, hai cominciato con altri sport.
Ho fatto otto anni basket, i primi cinque a Praga perché mia madre è della Repubblica Ceca e ho vissuto lì fino alla seconda elementare, prima di trasferirmi a Genova. Mio papà è italiano ma è mancato quando avevo 12 anni. Ero playmaker, piccolino, ma giocavo bene, sono stato campione della Repubblica Ceca nella mia categoria di età. A 14 anni ho cominciato col tennis, alle Palme di Genova, in corso Italia: dopo quattro mesi ero già in pre-agonistica, quindi sono tornato un anno in Repubblica Ceca perché c’era un coach che aveva seguito mio fratello maggiore ed era molto bravo. Poi in Spagna, quindi due anni all’Accademia di Bob Brett a Sanremo, infine al Blue Team di Arezzo con Bracciali e Starace. Il responsabile tecnico era Umberto Rianna. Sono arrivato a 18 anni che ero ancora 3.3 e in un anno sono passato 2.7. A 20 anni sono tornato a Genova per finire la maturità e mi sono allenato con Raul Ranzinger a Sestri Levante, ma avevo perso sicurezza e non sapevo se valeva più la pena provare.

Anche se hai provato ugualmente a fare attività professionistica.
Per un anno ho girato i Futures con coach Manuel Jorquera ma mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Io sono molto aperto, gli altri si nascondevano per apparire più sicuri. Faticavo a fare quella vita e mi mettevo pressione perché volevo diventare forte e non ci riuscivo. E avevo anche un problema col rovescio: in allenamento viaggiava benissimo, in partita mi bloccavo. Hai presente Sara Errani col servizio? Ho provato anche a parlarne con degli psicologi, ma niente da fare. In allenamento me la giocavo con i 500 ATP, nella realtà sono stato 2.6.

Riccardo mentre gioca a Padel
Denny è molto attivo sui social e in particolare su Instagram con due profili: uno sulla sua attività di padel e uno più personale
«Con Cremona abbiamo vinto tutto, poi qualcosa si è rotto, almeno da parte sua. Dopo che abbiamo perso al Masters qualche settimana fa, mi è arrivato un messaggio in cui mi diceva che non se la sentiva più di giocare con me. Avrei preferito parlarne faccia a faccia, ma va bene così»

Quindi?
Ho cominciato a fare il maestro di tennis a Genova, ai Tre Pini e poi al Cus. Poi quattro mesi in un’accademia cinese a Guangzhou, con Jorquera come head coach. Bella esperienza però mi sono ritrovato solo. Manuel aveva tutta la famiglia con sé e lo vedevo poco, il preparatore atletico col quale avevo legato decise presto di andarsene. Ero in Cina, da solo, a 23 anni e senza che nessuno parlasse inglese: ho guadagnato qualcosa e me ne sono andato.

Il padel dove lo hai conosciuto?
Chiaramente in Spagna. Mia madre aveva una casa in Liguria che ha deciso di vendere per comprarne un’altra a Mojacar, vicino ad Almeria, nel Sud della Spagna. Tornato dalla Cina, è lì che ho scoperto il padel. Mi sono innamorato subito perché c’era tutto: tocco e forza, tecnica e tattica, un mix ideale. Però giocavo solo d’estate. Per fortuna conoscevo Enrico Burzi, un top player in Italia, e nei week-end andavo ad allenarmi da lui a Bologna. Poi mi hanno presentato Gustavo Spector che allenava al Gardanella, appena fuori Milano, e mi prese con lui: facevo lezioni di tennis, di padel e cercavo di allenarmi. Però giocavo troppo poco. Cinque anni fa, Giuseppe Sinisi mi ha convinto che per giocare a padel seriamente dovevo andare a Madrid. Ho cominciato ad allenarmi con Leo Padovani, il coach di Juan Martin Diaz e Cristian Gutierrez. Era il 2015 ed era un padel molto diverso: io giocavo solo in back per tenere la palla bassa, là mi dicevano che da fondo dovevo tirare piatto. Ho cambiato tutto: tecnica, tattica, mentalità. E a padel mi è sparito anche il blocco nel rovescio! Anzi, lo sento meglio del dritto.

Come hai scelto da che lato giocare?
Al principio mi allenavo da entrambe le parti, poi facevo da sparring a Diaz e Gutierrez stando ore a rete perché giocavo bene al volo e avevo un ottimo smash. Per questo, piano piano mi hanno spostato a sinistra. Dopo un anno sono tornato in Italia a far tornei e mi aspettavo di vincere. Invece assimilare tutti i nuovi insegnamenti non è facile: accorciare le volée per farle morire al vetro, il rovescio piatto, lo smash con preparazione ridotta e direttamente dietro la schiena, le impugnature. Per mettere tutto in pratica mi incasinavo nei match. E poi volevo migliorare in difesa.

Invece?
Con i campioni facevo solo da sparring sotto rete. Tre anni fa ho chiesto di lavorare più su me stesso per migliorare in difesa, il mio punto debole. Ha funzionato: in Italia giocavo con Teo Savoldi e Mauricio Lopez e ho fatto subito qualche finale. L’anno dopo sono esploso, giocando con Simone Cremona: io ero a un livello più alto, ma lui aveva già un bagaglio tecnico ideale per un giocatore di destra: è regolare, fa cose intelligenti. Il match che ci ha dato consapevolezza nei nostri mezzi è stato al Foro Italico contro Verginelli e Capitani, il team più forte dell’epoca. Eravamo sotto 5-1 al tie-break decisivo… Da quel momento, insieme abbiamo vinto tutto in Italia. Fino a quest’anno.

Denny con il trofeo vinto quest’anno ai Campionati Europei a squadre con l’Italia e quello ai Campionati Italiani outdoor 2018, titolo conquistato con Simone Cremona

Poi cos’è successo?
Eravamo forti perché uniti, poi qualcosa si è rotto. Abbiamo cominciato la stagione vincendo i due Slam di inizio anno a Catania e Riccione e perso in finale ai Campionati Italiani contro Bruno e Mezzetti. Ci hanno asfaltato. L’anno scorso li avevamo battuti 6-2 6-2, quest’anno hanno giocato un match perfetto. E qualcosa nella nostra coppia si è incrinato, almeno da parte sua. Io avevo piena fiducia, l’avevo scelto come compagno quando ancora stava crescendo e voleva capire questo sport e lo stesso quando l’anno scorso ha avuto un problema fisico: mai pensato di cambiare partner perché mi stava simpatico, in campo ci capivamo benissimo e mi lasciava giocare libero. Invece, a un certo punto ho avvertito scarsa fiducia. Mi erano arrivate voci che non voleva più giocare con me, forse aveva altre esigenze e voleva provare qualcos’altro. Dopo lo Slam di Bologna, dove ho giocato male, gli ho chiesto se andava tutto bene e lui mi ha ribadito che voleva giocare solo con me: ‘No Denny, figurati, insieme abbiamo vinto tutto, con chi vuoi che giochi? Tranquillo, continuiamo insieme’. Dopo la sconfitta ai Campionati Italiani mi arriva una telefonata del CT Spector che, in vista degli Europei, mi chiede di giocare un torneo a destra in coppia con Capitani e che avrebbe provato Simone con Michele Bruno a sinistra. Hanno vinto loro una finale lottata, che avremmo potuto vincere in due set. Nello Slam successivo a Torino, stessa storia. Peccato che Capitani non fosse disponibile e, pensando che Simone avrebbe continuato gli esperimenti con Bruno in vista degli Europei, ho chiesto di giocare ad Alexis Rosete, un ragazzo che lavora come maestro a Roma da qualche anno. Invece poi Simone si è iscritto con un altro giocatore, Di Giovanni. Ma allora, perché non con me? Ho cominciato a capire che qualcosa non andava. Lì, abbiamo vinto noi in finale.

Come è andata agli Europei, dal punto di vista personale?
In nazionale, il CT mi vede a destra visto che a sinistra ci sono gli italo-argentini che sono fortissimi e Bruno è la sua terza opzione perché ha uno smash molto potente e, con Britos che gli costruisce il punto, formano una gran coppia. Io credo di essere un giocatore più completo, di avere più soluzioni, ma a sinistra non ho trovato spazio.

Sei rimasto escluso da semifinali e finale: quanto ti ha deluso questa scelta?
Tanto: giocavamo in casa, in diretta tv, con gli spalti pieni… Però il CT deve fare le sue scelte.

Te lo aspettavi?
Sì. Avevo giocato un torneo con Capitani e avevamo perso proprio contro la coppia francese, Scatena-Haziza, in due tie-break. Poi negli allenamenti, il CT mi metteva un po’ a destra, un po’ a sinistra: mi avesse voluto far giocare, mi avrebbe fatto allenare solo a destra. E la formazione della semifinale, che aveva fatto molto bene, non si poteva certo cambiare.

Però è rimasta un’esperienza importante?
Certamente. Non mi sarei mai aspettato di vedere così tanta gente pur con un meteo disastroso: tribune piene, tifo, un’atmosfera molto professionale.

«Se vincessi tutti i sei tornei Slam porterei a casa la bellezza di 1.800 euro. In totale, eh! Seicento euro a coppia per vincere un torneo della categoria maggiore. Non ti paghi nemmeno il treno e le cene. Me la cavo con gli sponsor…»
Il match tra Cattaneo e Capitani contro i francesi Haziza e Scatena ai Campionati Europei 2019 a Roma

Ciò che un po’ manca al nostro padel: qual è la situazione del professionismo in Italia?
Lasciando perdere la Spagna, ho giocato un Challenger in Francia e nei giorni precedenti c’era il loro campionato nazionale a squadre, con un campo centrale con le uscite, arbitro di sedia, cambio palle, diretta tv. Da noi non esiste niente di tutto questo. Anche il Masters italiano con le otto migliori coppie è stato di una tristezza infinita: zero persone, zero atmosfera. Però il padel in Italia cresce lo stesso, con l’aiuto della federazione. Però bisognerebbe professionalizzare di più il movimento, anche aumentando i montepremi.

In un anno quanto guadagni?
Se vincessi tutti i sei tornei Slam porterei a casa la bellezza di 1.800 euro. In totale, eh! Seicento euro a coppia per vincere un torneo della categoria maggiore. Non ti paghi nemmeno il treno e le cene. Me la cavo con gli sponsor, come Italian Padel, Fisiocrem, Compex e Bullpadel, il brand di racchetta con la quale gioco da tre anni e dal quale ora percepisco anche un compenso.

E la tua mitica macchina lanciapalle?
È una Spinfire: se ti ritrovi da solo, ti puoi organizzare un allenamento completo. A Mojacar, il comune mi lascia le chiavi del campetto e con la macchina lanciapalle faccio tutto quello che ho bisogno per migliorare la tecnica. Vuoi fare lo smash? Ti alza pallonetti a sfinimento. Vuoi provare l’uscita di parete? La ripeti trecento volte di fila. E può servire anche al maestro che può restare più vicino all’allievo e correggerlo meglio.

Ma per diventare forti bisogna per forza andare in Spagna?
È un’ottima soluzione. E comunque bisogna allenarsi tutti i giorni, investire su se stessi, farsi il mazzo. Se vuoi arrivare in alto devi fare il professionista e fra poco, giocare a mezzo servizio, non basterà più nemmeno per restare al top in Italia.

Con chi giocherai l’anno prossimo?
Ancora non so. I Campionati Italiani Indoor li ho giocati con Lollo Rossi. Dovevo farli con Cremona ma dopo che abbiamo perso al Masters, il mattino seguente mi è arrivato un messaggio in cui mi diceva che non se la sentiva più di giocare con me. Avrei preferito parlarne faccia a faccia, ma va bene così. Sono cose che capitano anche se dopo due anni e mezzo in cui hai vinto tutto insieme, mi aspettavo qualcosa in più di un messaggio.

Ecco come Denny si allena con la sua macchina lanciapalle

Hai 30 anni: dove ti vedi fra tre, quattro anni?
Per un anno voglio provare a fare tutti i tornei possibili del World Padel Tour per non avere rimorsi e aver assaporato quell’ambiente. Voglio raggiungere i miei limiti, preparandomi al meglio. Vorrei provarci la prossima stagione, con un compagno spagnolo che già conosce il circuito: è la soluzione migliore. E sempre giocando a sinistra, dove mi sento meglio, anche se non spacco la palla e mi piace di più lavorare il punto.

Quanto è lontano il livello del main draw di un torneo World Padel Tour?
Dai giocatori di previa al main draw non c’è grande differenza, a parte le primissime coppie. Tra previa e pre-previa la situazione si complica perché le condizioni di gioco influiscono tanto. I top player giocano sempre sullo stesso campo, molto lento, con le uscite: è quasi un altro sport.

Nel tennis i cambi di superficie sono evidenti, nel padel tutti i campi sembrano uguali.
Invece sono molto diversi. Un esempio: come è possibile che nel Mondiale dell’anno scorso Bruno e Britos hanno perso solo 7-5 al terzo contro Lamperti e Belluati, due super player argentini del World Padel Tour? Semplice, si giocava su un campo umido, con la palla che usciva facile: in quella situazione, Bruno ti manda ai matti perché ha uno smash potentissimo. Se porti uno di questi giocatori del WPT a Riccione, farebbero fatica perché non sono abituati a campi così rapidi e senza uscite. Loro fanno qualunque cosa con la palla, ma se il campo è lento, sono avvantaggiati. Poi il sistema del WPT è fatto per fare in modo che un giocatore di main draw, difficilmente scende sotto. Salire è molto complicato, restare lassù paradossalmente lo è meno.

Come finirebbe tu e Cremona contro Marta Marrero e Marta Ortega, la coppia numero uno del mondo femminile? «Vinciamo 6-4 6-4. Si lotta, ma vinciamo». E contro Belasteguin e Tapia? «Qualche game lo facciamo… 6-2 6-2»

Quanto sta cambiando il modo di giocare a padel?
Molto. Il gioco sta diventando più veloce e fisicamente bisogna essere sempre più forti e preparati. Ancora adesso, a destra si vedono giocatori piccolini, poco potenti, ma che sanno muovere bene la palla; però, accadrà sempre più spesso che anche a destra ci saranno giocatori come Lebron o Gutierrez dal fisico importante e che spingono fortissimo. Il padel è uno sport sempre più fisico.

E quanto si lavora sul piano atletico?
E quello che mi ha sorpreso di più quando sono stato in Spagna. Pensavo di fare come a tennis, quattro ore in campo, un’ora e mezza in palestra. Invece si giocava un’ora e mezza e poi un’oretta di preparazione fisica. Non si spaccavano. E non capisco se è perché il padel ti obbliga a pensare tanto e quindi è meglio allenarsi meno e mantenere la mente lucida, oppure perché ancora non c’è sufficiente professionalità. Non ho ancora conosciuto qualcuno che si allena quattro ore al giorno. Forse è lo step successivo: il livello si alzerà così tanto che bisognerà allenarsi di più.

Cosa ti impressiona vedendo i top player del WPT?
Fanno apparire semplici delle giocate incredibili, la grande qualità dei campioni. Ovviamente la gente si emoziona per i colpi più spettacolari, a me invece piace sottolineare come, anche quando sono in grande difficoltà, riescono a tirarsi fuori dai guai offrendoti una palla difficile da attaccare. Sono messi male, in ritardo, attaccati alle pareti? Ti alzano una palla alta e precisa sul rovescio, e si ricomincia. Sembra facile…

Ti vedi un giorno come maestro di padel?
Assolutamente. Sono maestro nazionale anche se per adesso non lavoro per nessun circolo. Mi piacerebbe gestire un padel club in Italia dove il movimento sta crescendo tanto e le prospettive sono ottime. Da noi manca un vero centro tecnico o anche solo club dove i ragazzi che puntano in alto possono essere seguiti seriamente. Ora voglio provare ancora a fare il giocatore, poi ci sarà tempo per insegnare.

Ti sei allenato tre mesi anche a Barcellona, all’accademia di Marcela Ferrari, ex coach di Fernando Belasteguin e CT della Nazionale femminile italiana: come giudichi quell’esperienza?
Bellissima. Eravamo un buon gruppo di allenamento e lei è straordinaria in campo. Però avvertivo sempre quella sensazione di non lavorare abbastanza: un’ora e mezza di padel, un po’ di preparazione atletica e stop.

Tre match ipotetici: Cattaneo-Cremona vs. BelasteguinTapia, come finisce?
Qualche game lo facciamo: 6-2 6-2. Ho giocato con Burzi contro Bela e Sanyo Gutierrez al Mondiale in Portogallo, due anni fa ed è finita 6-4 6-1. Eravamo 4 pari, 40-15 e poi è scivolata via.

Contro Fognini-Berrettini?
Adesso, senza che loro si preparino seriamente per il padel? 6-1 6-1 per noi.

E contro Marta Marrero e Marta Ortega, coppia numero uno al mondo femminile?
Vinciamo 6-4 6-4. Si lotta, ma vinciamo.