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The Coach: Roberto Agnini
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The Coach: Roberto Agnini

È stato tra i primi a credere nelle potenzialità del padel e, dopo un lungo percorso, attualmente è il responsabile tecnico della Canottieri Aniene e CT della Nazionale over. Ci ha spiegato cosa serve per un ulteriore salto di qualità. Che deve essenzialmente partire dalle scuole padel per ragazzi.
intervista di LORENZO CAZZANIGA
6 novembre 2019

La location è la più invidiata, il Circolo Canottieri Aniene, un gioiello di eleganza sulle rive del Tevere dove Roberto Agnini, classe 1970, è direttore tecnico della sezione padel. Tre campi perfettamente ubicati in un’oasi di tranquillità e con una dirigenza attiva che vuole far crescere il movimento perché all’Aniene non è mai concesso di arrivare secondi. Agnini è emiliano, cresciuto (anche tennisticamente) al Circolo Aeroporto di Bologna ed è stato tra i primissimi a credere nel padel, già una ventina d’anni fa, quando campi e giocatori erano una rarità. Ha allenato le Nazionali (attualmente è CT di quella over) ma soprattutto ha vissuto, step by step, la crescita di questo sport. E ci ha spiegato cosa serve per fare un ulteriore salto di qualità.

Come ti sei avvicinato al padel?
Ho giocato a tennis fino al 1997. Mi allenavo al circolo Aeroporto di Bologna dove ho avuto la fortuna di incontrare Tomas Mills, coach di padel particolarmente qualificato che in carriera aveva allenato fuoriclasse come Roberto Gattiker ed Hernan Auguste, attualmente responsabile del circuito World Padel Tour. Mi convinse a provare ma non ero molto dell’idea: tiravo solo delle gran botte e all’epoca a padel si giocava con racchette sottili e non si riusciva a tirare forte. Invece fu una folgorazione e da quel giorno il padel è diventato il mio sport in assoluto: ho subito iniziato a collaborare con la ex Federazione Italiana Gioco Padel e da anni con il Comitato Padel della FIT, grazie al Presidente Gianfranco Nirdaci, il quale ha rinnovato la mia collaborazione credendo in ciò che ho fatto per questo sport. Ho avuto il piacere di allenare squadre nazionali maschili e femminili e ora sono il CT della Nazionale.

Cosa ti ha conquistato del padel?
Fare qualcosa di diverso dal tennis, che resta uno sport fantastico ma avevo dato tanto e ricevuto poco. All’inizio il padel era uno sfogo, poi mi ha aiutato a diventare più forte mentalmente. A tennis spaccavo una racchetta ogni torneo, mentre il padel, per la complessità di come si sviluppano gli scambi, ti aiuta a non dare mai nulla per scontato, a ragionare in pochissimo tempo e a convincerti che puoi sempre recuperare ogni situazione, anche le più difficili. Vale tanto.

Vent’anni fa ti davano del pazzo quando hai cominciato a occuparti seriamente di padel.
Vero, ma ci ho creduto fin dall’inizio, investendo molto tempo e denaro perché ero sicuro che questo movimento sarebbe esploso. Avevo studiato la realtà spagnola, dove ovunque andassi ad allenarmi vedevo solo circoli di padel con almeno 10 campi e una quantità pazzesca di persone di qualsiasi età che giocava tutto il giorno. Era incredibile e continuavo a ripetermi: ‘Perché non dovrebbe funzionare anche in Italia?’. Non mi sbagliavo.

Qual è la situazione degli istruttori di padel?
Credo che Gianfranco Nirdaci (responsabile del Comotao Padel della Fit n.d.r.) abbia fatto un grande lavoro, prima offrendo a Gustavo Spector l’incarico di formare la Scuola Nazionale Padel insieme all’Istituto Lombardi della FIT (la vecchia Scuola Maestri della Fit n.d.r.) con Michelangelo Delledera: sono le figure più qualificate e un connubio perfetto per far crescere questo progetto. Dopo alcuni anni di assestamento, ora comincia a essere strutturato in maniera seria e qualificata.

Riccardo mentre gioca a Padel
Roberto Agnini, classe 1970 di Bologna, è direttore tecnico padel alla Canottieri Aniene e CT della nazionale italiana over. Inoltre, è testimonial e promoter per il brand Dunlop
«Ogni due mesi i maestri nazionali dovrebbero riunirsi in uno stage per insegnare nella stessa lingua, seguendo un percorso didattico preciso e comune. Il corso maestri è importante ma non è sufficiente: l’aggiornamento è fondamentale» Roberto Agnini

Cosa serve per avere un’ulteriore svolta?
Che il maestro di padel pensi prima a creare una buona scuola per i ragazzini piuttosto che ammazzarsi di lezioni private. Spector sta facendo un ottimo lavoro con uno staff di maestri che può aiutarlo: il tassello che manca è che ogni due mesi i maestri nazionali dovrebbero riunirsi in uno stage per insegnare nella stessa lingua, seguendo un percorso didattico preciso e comune. Il corso maestri è importante ma non è sufficiente: l’aggiornamento è fondamentale.

Come anche andare in Spagna a imparare?
Assolutamente. Quando avevo 25 anni andavo in Spagna due volte l’anno per due mesi ciascuna perché in Spagna si gioca il vero padel. E i giocatori non dovrebbero andare a fare il World Padel Tour ma il Campionato della Catalunya di seconda e terza categoria dove ti fanno un mazzo così. E dare un buon esempio ai nostri giovani.

È più difficile insegnare tennis o padel?
Non ho grande esperienza nell’insegnamento del tennis, ma posso assicurare che insegnare padel è abbastanza faticoso. Colpisco tra le otto e le diecimila palle al giorno e, essendo all’interno di una scatola, devi tenere il tono di voce sempre alto. Una lezione di padel è molto intensa, per l’allievo ma anche per il maestro.

Il padel sottrarrà tanti praticanti al tennis?
Attualmente non credo. Servono ancora cinque, sei anni per un’esplosione completa del movimento, soprattutto per avvicinare i giovani e creare delle buone scuole padel e un circuito professionistico che permetta a un giovane di fare carriera.

Il prossimo passo che deve fare il padel in Italia?
Creare più scuole padel per i giovani, avvicinarsi alle scuole, portare più ragazzi dentro ai campi.  Qui all’Aniene ho avuto la possibilità di creare una delle prime scuole padel e, insieme al dirigente del club Alessandro Di Bella e a tutto il circolo, stiamo dedicando risorse e impegno totale. Poi lavorare tanto per far nascere dei Matteo Berettini del padel da poter schierare nella Nazionale Italiana, anche se l’obiettivo principale dei nostri ragazzi deve essere il confronto con i top players. In troppi vedono la Nazionale come un punto d’arrivo e non di partenza.

Riccardo in schiacciata
Il Circolo Canottieri Aniene dove lavora Roberto Agnini è tra gli sports club più belli d’Italia. Ci sono tre campi da padel e innumerevoli altre strutture sportive, a partire dal tennis. Su questi campi è cresciuto anche Matteo Berrettini

Quanto tempo ci vorrà per avere tante scuole padel di buon livello
Almeno due o tre anni. Occorre fare promozione tra i più giovani, a partire dagli alunni delle scuole, prendendo poi esempio dalla Spagna per come hanno saputo gestire il fenomeno.

Vero che adesso un padel club funziona solo se dispone di tanti campi?
Assolutamente, altrimenti si rischia di creare un tappo, far giocare sempre gli stessi e lasciarne fuori tanti. Se hai cinque campi e richieste nelle ore di punta per riempirne altri tre, devi costruirli: è chiaro che, soprattutto al nord dove è necessaria la copertura, l’investimento è importante, però se i campi lavorano…

Se un aspirante maestro di 20 anni dovesse scegliere tra tennis e padel, cosa gli consiglieresti?
Il maestro di tennis resta una bellissima professione, ma francamente gli consiglierei di valutare con attenzione la carriera di istruttore di padel perché può già offrire tante soluzioni professionali interessanti.

Chi è il miglior giocatore italiano di padel?
Oggi Michele Bruno, l’attuale Campione Italiano: l’ho visto fin dal principio e sapevo che aveva le qualità per diventare forte. Però, se avesse voglia di continuare, il nostro miglior giocatore di sempre resta Enrico Burzi. Ha il padel nel sangue, a detta anche di tanti professionisti spagnoli e argentini con i quali si è confrontato. Comunque, non è detto che il miglior padelista debba essere stato un ex tennista; anzi, allenare un ex tennista è più complicato. Certo, se vuoi diventare forte a padel senza aver mai preso in mano una racchetta devi prenderlo a dieci, undici anni. Anche perché il padel sta cambiando.

In che modo?
Come tutti gli sport anche il padel ha avuto una evoluzione, molte situazioni sono cambiate, le racchette, il modo di giocare, la tecnica, la potenza, la tattica. Ad esempio una volta il famoso por tres era per pochi diletti, ora è all’ordine del giorno. Un tempo si tirava meno forte e quindi serviva tecnica ma anche tanta esperienza, per questo era difficile emergere a vent’anni. Ora è uno sport più fisico e di potenza. Guarda l’intelligenza di Belasteguin: ha sempre giocato a sinistra con al fianco un gran mancino; ora si è messo a destra e chi si è messo a sinistra? Agustin Tapia, il miglior giovane del circuito.

«I nostri giocatori non dovrebbero andare a fare il World Padel Tour ma il Campionato della Catalunya di seconda e terza categoria dove ti fanno un mazzo così. E dare un buon esempio ai nostri giovani» Roberto Agnini

Cambiare lato di gioco nel padel è così complicato?
Regola numero uno: a padel si comincia a giocare a destra e poi ci si può spostare a sinistra. Il contrario è più complicato. E comunque bisognerebbe allenarsi da entrambi i lati per migliorare la propria tecnica. Regola numero due: ogni sport si evolve. Al principio ho vissuto l’epoca in cui veniva a rete quello che rispondeva! Poi si è passati all’australiana, cioè con i giocatori che restano nel loro lato su tutti i punti, ora diverse coppie non scelgono questa soluzione ma cambiano spesso lato, come nel tennis, per incasinare la vita agli avversari. Con lo schema all’australiana, anche gli avversari si abituano ad avere sempre lo stesso giocatore a sinistra o destra, mentre cambiando non trovano più punti di riferimento. Adesso i giocatori si incrociano molto più spesso.

In Italia sembra che tutti vogliano giocare a sinistra?
Perché in troppi credono che a destra debba giocare il più scarso e che sia il giocatore di sinistra a determinare l’esito del match. Non è così perché chi gioca a destra non deve sbagliare mai, restare concentrato su ogni punto e costruire gli spazi perché quello di sinistra possa essere aggressivo. In Italia abbiamo buoni giocatori di sinistra e pochissimi di destra.

Cosa bisogna fare perché ci sia una svolta a livello professionistico
Partire dai giovani e fare in modo di costruire un grande giocatore italiano che diventi un’icona per tutti.

E chi dice che il padel è una moda come è stato lo squash?
Quel rischio è già stato superato. Ci sono tante associazioni sportive che si affacciano al padel, fanno progetti, investono: il padel diventerà sempre più una bella realtà dello sport italiano. E con la possibilità di diventare sport olimpico…

E adesso, agli Europei, arriva anche Sky a fare da cassa di risonanza.
Era l’ultimo tassello che mancava: la nazionale italiana merita di avere una grande visibilità perché aiuta a far conoscere meglio questo sport. E chissà che non si riesca a fare qualcosa di simile anche per il circuito nazionale.